mercoledì 12 dicembre 2007

Quei maledetti anni Settanta

Optalidon, Micoren e "bomba Z", il doping artigianale ha causato decine di vittime.

di GIANNI RANIERI.

Le storie di doping nello sport sono vaste, sono contenitori in cui può entrare di tutto. Può entrarci perfino un signore che si chiama Carlo Mazzone, ma è chiamato Carletto benché abbia la stazza di un granatiere. Carletto a causa del cuore. Ha un cuore che è più grande dei suoi strilli, quando strilla. Gli strilli li senti; la presenza del cuore la senti, l’avverti, la provi.
Carletto Mazzone è un uomo di sport che ne ha passate tante. Adesso sta passando attraverso il caso dell’ex giocatore della Fiorentina, Bruno Beatrice ucciso dalla leucemia nel 1987. Aveva 39 anni. Da un’indagine condotta dai carabinieri del Nas e coordinata dal pm Luigi Bocciolini risulta che nel 1976 Beatrice fu sottoposto a una iperbolica terapia di raggi Roentgen per liberarlo dalla pubalgia. Raggi Roentgen come se piovesse secondo l’indagine; e, secondo una perizia medica richiesta dal pm Bocciolini, sussiste una compatibilità tra quelle super dosi di Roentgen e la leucemia acuta diagnosticata a Beatrice nel 1985.
Dal 1975 al 1978 nelle vicinanze della panchina viola (lui non si siede, la passione, il tormento, l’immedesimazione pedatoria glielo impediscono) si agitava e lanciava ordini Carletto Mazzone. La vedova di Bruno Beatrice, Gabriella Bernardini, chiede, pretende un’inchiesta. L’impastatrice delle indagini si mette in moto, comincia il suo lavoro e, fruga di qua e fruga di là, ingloba oltre a due medici primari, anche uno dei mister italiani più teatrali. «Nun me chiamate mister, me vie’ troppo da ride». Noi adesso, appena si parla di doping, lo consideriamo con il bagaglio di nozioni apprese negli ultimi anni, che sono stati e continuano ad essere anni in cui il doping nello sport è diventato elegante oltre che tragico, sofisticato nemmeno fosse l’arte dei massimi chef della cucina mondiale. Ci sono gli specialisti oggi, e anche gli scienziati.
Il club degli stregoni non è neppure più un ricordo, è un vecchio carro di Tespi ficcato laggiù, in un angolo buio della memoria. Ma nei disgraziati Anni 70 il Carro di Tespi, i comici e i drammatici di quel carrozzone farmaceutico spopolavano. C’era la famosa bomba Zeta, per esempio, a Roma. Optalidon mischiato a una o due pastiglie di actifed. Roba da stare svegli per due notti guardando come matti il soffitto della camera d’albergo dopo aver falciato l’erba in area di rigore. Doping all’optalidon. Con la bomba Zeta c’erano corridori che foravano il traguardo.
Erano gli anni disgraziati, e maledetti per chi ci capitava sotto, della prima sperimentazione. Il passaggio dall’Arcadia della simpamina nel caffè con cognac, che faceva esplodere sotto il sole le borracce dei velocisti e degli scalatori, al Romanticismo dei primi ricambi del sangue. Ed erano gli anni della fretta. Bisognava che guarissero in tempo gli atleti che erano costati cari e che non si poteva lasciare per troppo tempo a guardare gli altri sgobbare. Questa fottutissima pubalgia, un flagello del calcio, come la guariamo, con quali accidenti si può liberare un bravo calciatore dalla pubalgia? Ecco che il metodo Roentgen si faceva avanti, alzava il braccio e declamava sono qua io, datemelo a me, ci penso io, lo guarisco io.
Sì ma le dosi? E chi lo sa, forse più era alta la necessità di recuperare il giocatore e più crescevano le dosi. Se è vero che Bruno Beatrice la leucemia lo ha imprigionato a causa del trattamento con i raggi Roentgen, quel trattamento debbono averglielo propinato davvero con la pala. Altre morti sospette di giocatori ex viola (due?) nell’indagine del pm Bocciolini. Qui si parla di medicinali come il Micoren e il Cortex.
Il Micoren tira su il cuore, però bisogna vedere sino a che punto quella gru ti porta in cielo. E se poi la gru di colpo ti molla e ti lascia libero di volare ma senza le ali? Raggi Roentgen, Micoren, Cortex, Bomba Zeta, Actifed, Optalidon. Che anni di terribili rischi e che fegati e che reni e che polmoni ci volevano per resistere a quell’assalto di mezzi di cura da sbarco che curavano così bene da favorire in alcuni casi la pace eterna. Erano atleti sul serio coloro che non soccombevano, ma lo erano anche quelli che dopo anni e anni si sarebbero ritrovati con l’inferno addosso. Dovevano per forza essere atleti per vivere lo sport al tempo della medicina offerta con il bottiglione e l’imbuto.
Mi auguro con tutto il cuore di sbagliare, ma tra una decina-ventina di anni vedremo parecchi ex-giocatori con seri problemi di salute legati all'uso di sostanze dopanti e/o all'utilizzo di terapie troppo "intensive" per ridurre i tempi dell'indisposizione all'attività sportiva. Per non parlare dei ciclisti... I controlli che vengono praticati oggi fanno più ridere di quelli di una volta. Ed è tutto dire...

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